Alla scoperta del Colosseo






Un affascinante viaggio nel mondo del più grande anfiteatro della storia romana con le sue curiosità, le sue storie, i suoi protagonisti, gli animali impiegati, i gladiatori... Scopriremo insieme i trucchi usati dai Romani per costruire questo gigante della storia, in cosa consistevano realmente gli spettacoli offerti, quali animali si impiegavano e che fine facevano le loro carcasse una volta uccisi. Vedremo chi erano gli spettatori, come si eseguivano le condanne a morte, cosa succedeva nei sotterranei. Ovviamente parleremo dei grandi e indiscussi protagonisti dei giochi: i gladiatori. Da dove venivano? Chi erano? Perché dovevano combattere? Perché era tradizione tenere l'elmo in testa prima di essere uccisi? Dove finiva il loro sangue una volta morti? Daremo anche uno sguardo agli errori del film "Il gladiatore" a partire dal famoso gesto del pollice in giù...
Alla scoperta del Colosseo: un monumento che, una volta abbandonato, ha dato rifugio a criminali e prostitute, è stato trasformato in fortezza e in luogo sacro, rifugio antiaereo ed enorme rotatoria, ma ha anche ospitato nel tempo milioni di spettatori, visitatori, turisti, pellegrini e... tantissime piante cresciute fra le sue indimenticabili arcate.




Per i più curiosi ecco una piccola anteprima del contenuto del libro tratta dal capitolo "Le condanne a morte":

"Terminate le esibizioni con gli animali, all’ora di pranzo verso mezzogiorno era la volta delle esecuzioni pubbliche. Le condanne a morte, come nel resto dei secoli a venire, venivano eseguite pubblicamente come deterrente alla violazione delle leggi e per far vedere chiaramente a tutti quali fossero le conseguenze per chi si macchiava di gravi reati. Inoltre, un ulteriore prezzo da pagare per questi criminali era l’umiliazione di dover subire una morte orrenda davanti a migliaia di persone. Moltissime delle informazioni che abbiamo sulle condanne a morte che si tenevano negli anfiteatri dell’impero ci vengono fornite dai primi autori cristiani che testimoniavano la fede dei loro correligionari assistendo alle loro condanne. Proprio per questo motivo ci sono arrivate più informazioni riguardo le condanne a morte che non sugli spettacoli gladiatori. Contrariamente a quanto si credeva fino a non molto tempo fa, non abbiamo prove che all’interno del Colosseo siano stati messi a morte dei cristiani. Più precisamente, senz’altro ci sono stati anche dei cristiani uccisi nel Colosseo ma la loro religione non rappresentava l’elemento determinante della loro condanna. I condannati entravano nel Colosseo durante la processione iniziale di presentazione dei giochi e alcuni inservienti, per il beneficio del pubblico, mostravano dei cartelli con i reati commessi. A volte il cartello si trovava direttamente addosso al condannato stesso. Inizialmente i condannati a morte erano fuggitivi, disertori o rivoltosi, poi successivamente la pena si estese anche ad altri tipi di reati ed ai prigionieri di guerra. Esistevano diverse modalità per uccidere i criminali nel Colosseo: alcuni venivano uccisi per mezzo della spada (ad gladium), altri venivano gettati in pasto alle fiere (ad bestias), altri bruciati vivi (crematio o ad flammas), altri crocifissi (crucifixio) ed infine altri ancora dovevano impersonare personaggi del mito destinati a morire. In quest’ultimo caso si allestiva nell’arena tutta la scenografia necessaria a rappresentare il mito e il personaggio principale, destinato poi a soccombere, era il condannato che moriva veramente sotto gli occhi di tutti. Probabilmente questo tipo di condanne venne escogitato per rendere la pausa di mezzogiorno più avvincente dal momento che in molti casi le condanne a morte venivano considerate noiose. Non era raro che i condannati a morte prima dell’inizio dello spettacolo si suicidassero per evitare l’atroce morte che li attendeva nell’arena. I condannati aspettavano il loro destino nei sotterranei del Colosseo e per evitare troppi suicidi e dunque un’eventuale “penuria” di condannati da uccidere pubblicamente, gli stessi erano sempre controllati a vista dal personale che lavorava negli ambienti ipogei. Vi era una profonda differenza nella modalità della morte inflitta nel caso in cui il criminale fosse cittadino romano o meno. Se il condannato aveva la cittadinanza romana, il modo più comune per ucciderlo era la decapitazione. Questo modo veniva considerato onorevole da parte dei Romani ed evitava al cittadino l’umiliazione pubblica di una morte lenta o particolarmente efferata. Solo in rari casi si poteva vedere un cittadino romano morire in altri modi.  Le condanne ad gladium potevano non soltanto tradursi in decapitazioni ma anche in lotte, ovviamente impari e dal risultato scontato, tra il condannato inerme che correva per tutta l’arena e un gladiatore.
Le condanne ad bestias prevedevano invece che il criminale fosse sbranato dalle fiere. La prima condanna di questo genere venne inflitta nel 167 a.C. ad alcuni membri dell’esercito romano rei di aver abbandonato il campo di battaglia di Pidna in Macedonia. Macchiatisi di infamia i colpevoli furono calpestati dagli elefanti. Giuridicamente parlando non esistevano nel diritto romano reati specifici per infliggere la damnatio ad bestias, la condanna alle belve; il giudice era libero di applicarla a sua discrezione quale aggravante della pena di morte. Molto probabilmente questo tipo di aggravante veniva inflitta più frequentemente se l’estrazione sociale del condannato era bassa, ad esempio se era un prigioniero o uno schiavo. Fino al tempo di Tiberio (14-37 d.C.), secondo imperatore romano, un padrone poteva condannare un suo schiavo ad bestias senza possibilità di appello o difesa; successivamente la lex Petronia impose al giudice di controllare le motivazioni di tale volontà così da impedire che la condanna ad bestias venisse usata quale pratica particolarmente crudele e sbrigativa da parte di un padrone desideroso di liberarsi di un suo schiavo.
I condannati alle fiere dovevano rispondere a precisi requisiti legati allo spettacolo: non dovevano impiegare troppo tempo a morire per non rallentare il programma della giornata ma allo stesso tempo non dovevano farlo troppo in fretta per non rovinare lo spettacolo. I due modi più comuni per eseguire la damnatio ad bestias erano quello di legare a un palo il criminale nudo e farlo sbranare oppure di lasciarlo correre per l’arena rincorso dalla belva di turno. Il risultato finale non cambiava. Questo secondo tipo di esecuzione era largamente più diffuso e preferito dal pubblico perchè più coinvolgente e spettacolare. Si è mai verificato che qualcuno si salvasse? Sì, è successo alcune volte. La vita di questi condannati tuttavia non si allungava di molto perchè chi si salvava veniva usato nel combattimento successivo oppure, in età meno antica, veniva sgozzato. La grazia sembra essere stata estremamente rara sia per chi veniva condannato ad gladium che ad bestias.
La crocifissione, supplizio molto più antico dei Romani, poteva provocare la morte dopo una terribile agonia per soffocamento determinato dalla compressione del costato (per questo motivo infatti spesso le gambe del condannato venivano spezzate) o per asfissia o per dissanguamento o per collasso cardiocircolatorio in seguito al dolore. Era il supplizio più crudele fra tutti quelli esibiti nel Colosseo. Non andava molto meglio a chi era condannato alla crematio o ad flammas. I condannati infatti dovevano indossare bellissimi abiti decorati ma imbevuti di sostanze infiammanti, poi si ordinava loro di ballare e si dava fuoco alle vesti. Le danze che ne risultavano dovevano essere tutt’altro che piacevoli."














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